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  • Immagine del redattoreMadeleines & Cahiers

A Man - Any Man - Everyman: una storia stra-ordinaria di ricerca dell'identità

Aggiornamento: 9 dic 2022

Hirano Keiichirō, A Man. Transl. by Eli K. P. William. Seattle: Amazon Crossing, 2020. 304 pp.

(Originale: 平野啓一郎、「ある男」。 2018)


Kido Akira è un avvocato che ha trattato la causa di divorzio di una donna, Rie, separatasi dal marito per conflitti seguiti alla morte del loro figlioletto. Anni dopo, Rie lo ricontatta per aiutarla a gestire una nuova situazione. Risposatasi, alla morte accidentale del secondo marito, viene a  scoprire che lui non era chi aveva detto di essere e non ne conosce la vera identità. Kido prende a cuore la vicenda, sia perché conosce bene la storia della donna, che perché viene subito inspiegabilmente e irresistibilmente affascinato da quest’uomo dell’identità misteriosa e dall’uomo che questi aveva impersonato per alcuni anni. La storia racconta la ricerca di queste due identità, mentre segue le vicende di Kido e della sua famiglia e quelle degli altri personaggi che via via incontra nel suo percorso di indagine.


Il romanzo si articola quindi su molteplici livelli narrativi che nella sua ricerca della verità si intrecciano, portandosi dietro altrettanti livelli tematici che l’autore esplorerà attraverso l’esperienza del protagonista. A tenere tutto insieme, oltre l’abilità dello scrittore, c’è la voce affidabile di un narratore extra-diegetico e onnisciente. Dalla premessa iniziale ci dice di voler raccontare la storia di un certo “Kido-san” (sic), un uomo che incontra per caso in un bar di rientro da un evento in una libreria. Perché il nostro narratore è uno scrittore e potremmo senza difficoltà identificarlo perfino con lo stesso Hirano. Mettendo il nome “Kido-san” fra virgolette ci lascia intendere che la storia potrebbe essere vera e che i nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità dei protagonisti. Potrebbe però anche indicare che al posto di “Kido-san” e degli altri personaggi potrebbe esserci “chiunque”, l'"Everyman" di medievale memoria. Attraverso questa incredibile vicenda, Hirano esplora in profondità il tema dell’identità e i meandri dell’animo umano.


La questione identitaria viene affrontata a vari livelli: identità come appartenenza etnica e culturale, identità familiare, identità individuale ed esistenziale e identità perduta o rifiutata, scambiata, comprata.

L’avvocato Kido è uno “Zainichi”, un coreano, nel suo caso di terza generazione e ormai naturalizzato giapponese, che anche all’interno del suo gruppo socio-etnico, ovvero quello dei coreani ormai stabilitisi in Giappone dal periodo della dominazione giapponese in Corea, è comunque un outsider, perché la sua famiglia non ha vissuto in una enclave coreana, ma isolata, cercando di assimilarsi e farsi assimilare il più possibile, seppur non rinnegando né abbandonando le proprie radici. Kido cresce senza sentire il peso della diversità, ma in varie occasioni ci si scontra e solo nel periodo coperto da questa vicenda inizia a rifletterci e a provare un senso di appartenenza. L’occasione viene dal ritorno di episodi razzisti nei confronti dei coreani all’indomani del grande terremoto del Giappone orientale del 2011, proprio come successe dopo quello storico del Kantō del 1923, in seguito al quale iniziò una insensata caccia alle streghe che portò alla barbara uccisione di tantissimi coreani residenti in Giappone. Kido vive a volte il conflitto di un coreano che è ormai un giapponese quando legge appunto di manifestazioni pubbliche di odio nei confronti dei coreani, ma anche quando la moglie, Kaori, insiste perché lui nasconda il più possibile la propria origine, specie a Sota, il loro figlioletto di quattro anni.


Se il suo lavoro lo porta a cercare di conciliare tra coppie in procinto di separarsi, vive egli stesso, di fatto, una situazione di separati in casa, dopo che il suo appassionato impegno nell’aiutare le vittime del terremoto del 2011 ha allontanato lui e Kaori, che non vedeva di buon grado questa sua partecipazione. Il terremoto fu a sua volta fonte di disgregazione o perdita di identità: migliaia di persone sfollate, documenti e uffici pubblici distrutti, ricordi perduti. La necessità di ricominciare, spesso altrove, come se si fosse qualcun altro.


Sia nel ritrarre questo scenario che nel raccontare come il secondo marito di Rie avesse potuto spacciarsi per un’altra persona, acquisendone l’identità, Hirano muove una chiara critica a certe istituzioni ormai obsolete del Giappone, come quella del registro familiare, che seppur innovato rispetto alla sua versione originale - il ritsuryō - continua in effetti a perpetuare consuetudini arretrate e del tutto inadatte alla vita moderna.


Così mentre da un lato l’autore esplora i meandri della psiche e dei sentimenti umani, coglie l’occasione anche per criticare vari aspetti del Giappone contemporaneo. L’altro è la pena capitale ancora largamente in uso nel Paese. Hirano si è sempre occupato del tema, partecipando anche pubblicamente al dibattito e dedicandovi un saggio (“死刑について” - “Sulla pena di morte”, 2022).

Nella storia introduce il tema attraverso il padre di uno dei personaggi, che viene condannato a morte per un efferato triplice omicidio. La critica prende nell’opera la forma dell’arte, allorché un gruppo di attivisti per l’abolizione della pena di morte in Giappone organizza una mostra con disegni e dipinti di prigionieri nel braccio della morte, tra cui appunto il padre del defunto marito di Rie. Alla mostra segue una discussione tra l’organizzatore e un membro del pubblico che inscenano un dibattito sulle ragioni di organizzare un simile evento. Nel discorso si insinua anche il dibattito sulla pena capitale. Ho particolarmente apprezzato il modo evidente e al contempo discreto in cui  Hirano ha affrontato il tema.

Anche la legislazione in tema di affido dei figli in caso di divorzio viene criticata, seppur riceva meno spazio. Si tratta di un tema spinosissimo e molto doloroso, ancora di più in caso di matrimoni internazionali. L’autore si dimostra insomma molto sensibile verso tutti i temi umani e sociali fondamentali e dichiara apertamente le proprie posizioni in favore di leggi e pratiche, oltre che, ovviamente, valori, giusti e umani.


L’indagine dell’essere umano in questo libro non si limita a questi temi, ne esplora tantissimi altri: come l’incomunicabilità, l’inganno, la perdita. Ci sono diverse morti nella storia, tutte pregresse rispetto al tempo storico della narrazione; ma tutte ancora prepotentemente presenti.


Lo strumento di elezione per compiere questo viaggio nell’animo umano è comunque, per l’autore, proprio Kido, un vero avvocato gentiluomo, egli stesso pieno di conflitti e problemi, con il quale non si può però fare a meno di simpatizzare in modo totale. Per la sua correttezza, certo, ma soprattutto per la sua umanità. E la sua ricerca dell’identità di quest’uomo misterioso, apparso dal nulla e scomparso dalla vita di Rie, si rivela una ricerca di se stesso in quanto Kido Akira e in quanto essere umano. È un’indagine che gli permette di vedere da tante prospettive diverse la propria vita, ma anche la vita in generale. Allo stesso modo non si può non rimanere affascinati e simpatizzare con il misterioso uomo che Rie ha sposato in seconde nozze e la cui identità e personalità Kido ricostruisce con un difficile lavoro investigativo lungo più di un anno. I due personaggi protagonisti dello scambio di identità si rivelano alla fine molto diversi da come si era fino a quel momento portati a credere che fossero.


Un altro elemento che sicuramente non può che accattivare il lettore è il modo in cui Hirano racconta la storia: centellina le informazioni e le rivelazioni, così che sembra quasi di leggere un testo di crime fiction. Si rimane appesi al filo a ogni pagina, con scenari criminali che si profilano all’orizzonte e una forte voglia di scoprire cosa è successo, come il marito di Rie abbia preso l’identità di Taniguchi Daisuke e che fine abbia fatto costui. E la famiglia di Daisuke che ruolo ha? Ma soprattutto chi è questo uomo X, da dove viene, da che passato fugge?


Tutto il romanzo nelle sue trame e nelle sue tematiche, così serie e profonde, è tessuto in maniera magistrale, in equilibrio perfetto; nonostante la natura non certo da storia di evasione, la lettura scorre veloce su frasi eleganti e continui ma perfettamente sincronizzati cambi di scena. La narrazione è sapientemente inframmezzata da riferimenti letterari, artistici, musicali, culturali in genere, riflesso dell’alto livello di erudizione di Hirano che oltre che un eccelso scrittore è, appunto, anche un fine intellettuale dai molteplici interessi. Non sono però riferimenti mirati a far sfoggio di cultura, ma tutti funzionali a definire il quadro della vicenda e i suoi personaggi.


Il capitolo finale chiude il cerchio con il primo capitolo, ma soprattutto pone un confortante sigillo di speranza su questa storia. È una conclusione commovente; io ho pianto.

Potrei andare avanti a scrivere pagine su pagine in merito a quest’opera, analizzandola nel dettaglio, e sono sicura che poi, anche a una rilettura, scoprirei ancora altro da evidenziare e indagare. Volendo invece sintetizzare, la definirei uno straordinario racconto della ricerca di se stessi e della natura umana attraverso l’indagine dell’altro, e il tentativo, almeno, di immedesimarcisi, per comprenderlo a fondo e comprendere così se stessi. Mi ripeto; un libro straordinario di un autore fuori dal comune, che si conferma costantemente un grande scrittore del nostro tempo.

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