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Bianco. Il colore dell'essenza

한강, “흰. The Elegy of Whiteness”. 문학동네: 2016. 196 p., 12500 won.


“Bianco”. Un titolo sintetico, chiaro, essenziale, puro, ovvio. Ovvio nel senso che, attraverso l’io narrante, l’autrice ci dice nella prima pagina che aveva deciso di scrivere su “cose bianche” e per questo iniziò a stilare una lista di queste cose bianche, poi perse lo slancio iniziale, ma evidentemente doveva scrivere del bianco, perché senza più pensare al suo progetto iniziale, un giorno si trova a scrivere di bianco. Questo libro, finalista al Man Booker del 2018 nella traduzione sempre di Deborah Smith, è un altissimo e raffinato esempio di quella scrittura ibrida che in questa era post-post-moderna ha preso il posto della tradizionale narrativa del romanzo. È insomma una forma di scrittura in cui finzione narrativa e autobiografia, intesa tanto come memoria quanto come autoanalisi e riflessione di sé, si intrecciano in modo da non riuscire a distinguere dove inizi una e finisca l’altra. Han Kang non è nuova a cospargere di vita propria le sue opere, ma questa ne è subito, candidamente, investita, fin da quella che è una delle motivazioni di questo scritto: il ricordo di una sorella mai conosciuta. Una bambina, la primogenita di casa Han, morta poche ore dopo la nascita, lasciando una ferita in questa famiglia di menti introspettive che segnerà per sempre la sua presenza in absentia. Proprio dalla nascita di una bimba che muore subito dopo essere venuta al mondo parte questa narrazione, etichettata come fiction dall’editore, ma come detto molto autobiografica. Il libro è scritto per frammenti, ognuno dedicato a un oggetto di colore bianco, dalle fasce per neonati, al fiocco di neve, alla luna, al nevischio, ai capelli bianchi, le nuvole, ecc. Le pagine sono intervallate da fotografie in bianco e nero e a ogni frammento, che può andare da poche righe a 2 pagine, è dedicata una nuova pagine, così che il bianco del titolo e del tema pervade anche il libro oggetto fisico.

“흰”, Scritto in frammenti non racconta una storia unitaria, ma salta da un ricordo, una sensazione, o un pensiero, ad alcuni frammenti che di seguito sembrano raccontare una storia, di una ragazza che si trova nella città in cui l’io narrante dice di trovarsi quando inizia a scrivere (città identificata con Varsavia, dove l’autrice aveva soggiornato per qualche tempo). Non si capisce bene chi sia questa ragazza, la sua identità si confonde tra un frammento e l’altro e a volte sembra essere una ragazza, di nome 설 Seol (neve in coreano), che ha citato in una delle pagine, mentre a volte sembra essere una ragazza immaginaria, non menzionata, che pare quasi una proiezione di se stessa oppure una costruzione immaginaria di quella sorella che non ha mai conosciuto, ma che di cui ha percepito una esistenza, sempre presente, come le sue emicranie che fanno la loro comparsa anche tra queste pagine semi bianche. Nella lettura questo libro rende il senso di una distesa di bianco, pura, asettica, vasta e fredda; non a caso i riferimenti alla neve e al ghiaccio, nelle loro varie forme di nevischio, brina, neve, tormenta di neve e freddo della città (Varsavia) sono disseminati quasi in ogni frammento. Lo stile è altrettanto pulito, essenziale, a volte affilato e pungente. Non c’è una storia e quindi non esiste un finale, ma il penultimo frammento, “작별” “Addio, separazione”, chiude il cerchio, rimandando al primo frammento. E l’ultimo, “모든 흰” “tutto bianco”, rimarca il carattere umano e universale dell’opera, che racconta tante storie di tante persone, situazioni emotive e fili di pensiero in cui chiunque possa immedesimarsi, come brevi flussi di coscienza, brevi come lampi e altrettanto illuminanti. È un’opera breve, densissima, moderna, dal particolare, che non sappiamo fino a che punto sia finzione o vita personale dell’autrice, traccia un collegamento diretto con l’universale di ognuno di noi, delle nostre sensazioni e dei nostri pensieri ai quali non diamo peso, ma che scandiscono la nostra vita, nel triviale come negli eventi importanti. Una serie di esplorazioni sulla morte e sulla vita attraverso la rappresentazione del bianco.

Si percepisce un forte senso di nostalgia nei confronti della sorella, ma anche nei confronti di ciò che ci lasciamo sfuggire; il tema della transitorietà della vita serpeggia dalla prima all’ultima pagina. “흰” “Bianco” è un’opera davvero notevole seppur scritta in una forma che non gode di alcuna considerazione presso il lettore medio italiano, dovrebbe essere fruibile a chi legge senza confini di generi e altri limiti della mente. Io la sto traducendo proprio per potermici confrontare con amici lettori, critici, scrittori, e spero che Adelphi, che già ha pubblicato due opere di questa importante autrice, abbia in programma di portarla in Italia. Io però traduco dall’originale, non dalla traduzione inglese come è stato fatto per le altre due opere... Esiste come accennato sopra una edizione in traduzione inglese della stessa traduttrice de “La vegetariana” per chi proprio non voglia attendere una eventuale versione italiana. Un’opera davvero da leggere: geniale e profonda

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