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Fiumi aridi, fiumi in piena

Aggiornamento: 8 ago 2020

È tantissimo tempo che non scrivo niente su questo blog. Se non riesco a vivere in modo regolare, perché c'è sempre qualcuno che vuole impormi i suoi ritmi, allora tutta la mia impostazione va a gambe in aria e non riesco a gestire più niente delle mie attività secondarie.

Non aggiungo la mia sui mesi surreali che il mondo ha vissuto in questo inizio dei primi Anni Venti del XXI secolo; non è quello ad avermi tenuta lontana dalla tastiera. Si è solo aggiunto ad altri impedimenti, che non sono scomparsi; però avevo proprio voglia di riprendere a scrivere qualcosa, anche se al momento non sono tanto ispirata. Ho tante idee, ma tutte in embrione, e non riuscirei, adesso, a svilupparne niente di interessante o piacevole da leggere. Chissà quando ci riuscirò. Vivere nell'incertezza è davvero destabilizzante, almeno per una persona sensibile agli impulsi esterni quale sono io. Ho molto da lavorare sulla mia imperturbabilità e sulla meditazione. In tutto questo tempo non ho però smesso di leggere, anzi. Dopo un lunghissimo periodo di secca, in cui, per motivi vari e diversi, non riuscivo a leggere quasi nulla, lo scorso anno ho finalmente ritrovato la voglia e il piacere di leggere. Perché è così: bisogna avere voglia di leggere e quella voglia non ce la si può imporre né da sé, né chiedendo consigli ad altri. Ma l'anno scorso è tornata, da sola, e benvenuta. Ho letto tanto, ho anche fatto vari tentativi di riappacificarmi con la letteratura italiana contemporanea, che già dai tempi dell'università avevo deciso di snobbare, perché a dirla tutta non la trovavo né interessante, né innovativa, né letteraria. Ho letto in questi ultimi 14 mesi vari libri recenti e recentissimi e ho capito che da universitaria ero più acuta e perspicace di quanto pensassi. Non c'è stata riappacificazione: solo una matura, e stavolta motivata, presa di coscienza che la letteratura italiana, oggi, non ha autori in grado di competere con certi nomi e, in generale, certi ambienti letterari e intellettuali stranieri che animano il panorama globale.

C'è stata qualche eccezione, ovvero letture comunque molto interessanti di cui vorrei parlare appena possibile. Però ultimamente ho deciso di tornare alla letteratura straniera, perché avevo bisogno di un'oasi di bellezza in cui ritirarmi nei pochi momenti che riesco a ritagliare per me durante la giornata, o in cui trovare rifugio quando tutto intorno diventa davvero difficile da sostenere, soprattutto emotivamente. Di recente, quindi, ho deciso di recuperare un po' di letture che da tempo volevo gustarmi. Ho letto per la maggior parte autori dell'Asia orientale; non provo certo a nascondere dove vadano le mie preferenze letterarie e culturali, ormai da tanto tanto tempo. In particolare, ultimamente mi sono decisa a leggere quanto ancora mi mancava di un autore cinese contemporaneo, per il quale provo qualcosa di più che ammirazione: io amo la sua scrittura (e quanto soffro di doverlo leggere in traduzione, ahimè). Parlo di un Premio Nobel, sebbene questo negli ultimi anni non sia sempre garanzia di qualità, un po' come il Premio Strega, e a volte non si comprende davvero come certi libri o certi autori possano fregiarsi di premi tanto prestigiosi. Il suo però non è uno di questi casi: al contrario, credo che sia uno dei Premi Nobel più "giusti" assegnati da non poco tempo a questa parte. Perché Mo Yan è uno scrittore straordinario, che non delude mai; non c'è una riga che non mi abbia lasciato soddisfatta. E ogni volta supera ogni mia più entusiastica aspettativa.





In queste settimane ho finalmente letto Le rane (2009), un romanzo che esplora la complessa tematica della natalità nella Cina dalla seconda metà degli Anni Sessanta del XX secolo: la protagonista, la levatrice gugu Wan Xin, che ha fatto nascere tutti i bambini della zona per decenni, è il personaggio che ci guida in questo ritratto di una società, su cui lo stesso autore non riesce ad avere una posizione univoca e chiara. Una lettura intensa e illuminante. Ho iniziato due giorni fa l'ultimo libro (tra quelli pubblicati in Italia) che ancora mi mancava: una raccolta di racconti. Già, la forma narrativa meno amata dagli italiani. Ma che io amo tantissimo. Chissà se è per questo che li ho lasciati inconsciamente alla fine...

Un giorno voglio scrivere un post per spiegare le ragioni che mi portano ad amare così tanto la narrativa breve, quindi non mi ci soffermerò oggi. La raccolta ha un titolo che difficilmente poteva non rapirmi: L'uomo che allevava i gatti (Einaudi, 2008), dall'omonimo racconto contenuto nel libro. Non posso dire ancora tanto di questa raccolta, perché ho letto a oggi solo i primi due racconti.

E allora perché questo post, direte. Intanto per invogliare chi ancora non conoscesse Mo Yan a leggere le sue opere; in seconda istanza, perché il racconto che ho letto ieri notte, prima di dormire, mi ha frastornata per la sua bellezza. Credo sia uno dei racconti più belli che abbia letto nella mia vita, e ne ho letti tanti, tanti.

Una delle caratteristiche della scrittura di Mo Yan è data da passi di una liricità straziante per introdurre o incorniciare le sue narrazioni spesso costellate di eventi tragici, violenti, sconvolgenti. In questo racconto, "Il fiume inaridito", ha toccato punte di lirismo che mi hanno davvero scossa e vorrei presentarvi qualche riga del meraviglioso incipit, perché possiate farvi un'idea (e poi correre ad acquistare un libro di Mo Yan; uno qualunque va bene. Non delude mai). Non mi è capitato spesso di leggere aperture come questa:


"Una luna enorme, grondante di rosso, si innalzava a est del villaggio nel crepuscolo della pianura immensa. Le case, tinte del rosso lugubre della luna, sparivano dietro un velo sempre più spesso di nebbia e di fumo. Il sole era appena tramontato e una lunga nuvola purpurea aleggiava ancora all'orizzonte. Piccole stelle gracili tra il sole e la luna mandavano bagliori intermittenti. Il villaggio scivolava lentamente nel mistero, non un abbaiare, non un miagolio, né grida di anatre o di oche, solo il silenzio. La luna si levava, il sole tramontava. Un bambino sgusciò fuori da una porta fatta di ramaglie e in quel momento una stella si spense nel cielo. La sagoma del bambino, come l'ombra di uno spettro, galleggiò leggera nell'aria e ondeggiò sull'argine del fiume dietro al villaggio. Sotto l'argine, l'erba secca e le foglie ingiallite dei pioppi e dei salici sembravano ansimare. Il bambino avanzò lentamente, accompagnato dal debole suono dell'erba secca calpestata e delle foglie morte frantumate, e saltò a piccoli passi sull'argine. Si accovacciò, il corpicino sparì nell'ombra che lo avvolgeva. Il mattino dopo sembrava una piccola rana raggomitolata nel letto del fiume, e immersa in un sonno profondo. [...]".

Con queste parole Mo Yan inquadra una storia struggente, dicendoci tutto e niente, con una poesia che sembra quasi voler compensare le vicende che seguiranno nelle righe a venire.


Se dopo questo paragrafo vi sarà venuta voglia di leggere un'opera di Mo Yan, questo sconclusionato post di ripresa delle attività avrà assolto la sua missione.


Tra l’altro è notizia di qualche giorno fa che sta per uscire una nuova raccolta di racconti incentrata sulla tematica della terza età. Qui la notizia.

E qui un breve approfondimento.


I fiumi aridi del titolo sono ovviamente un riferimento al racconto, ma anche alla mia difficoltà a concentrarmi non solo a scrivere, ma perfino a prendermi un momento per pensare in modo più articolato a qualche autore, opera o tematica. So che è un disagio momentaneo, ma la vena è comunque asciutta e non fa bene. I fiumi in piena sono invece il turbine di idee e di cose che vorrei scrivere ed esplorare anche qui, nonché le sensazioni che ultimamente provo leggendo e in altre attività della mia vita. Sicuramente prima o poi verrà fuori qualcosa di definito da queste tumultuose acque senza forma.

E voi, avete già letto qualcosa di Mo Yan? Conoscete la letteratura cinese contemporanea? Quali autori conoscete e quali opere preferite?


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