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Gli inverni della vita: Wintering

Aggiornamento: 11 giu 2023


Katherine May, Wintering. The power of rest and retreat in difficult times. Rider: London, 2020. 288 pp., £9,99.


(English version down below)


Quando diverse persone che stimo, e del cui giudizio mi fido, hanno parlato lo scorso anno in termini quasi celebrativi di questo libro, ho capito che era un libro per me. Non solo è il tipo di scrittura personale, autobiografica, aneddotica e ibrida che mi affascina e in cui credo di potermi e sapermi esprimere meglio; è un libro che, dedicato alla mia stagione preferita, esplora quei momenti, quelle fasi della vita di ognuno, chi più chi meno, che io conosco molto bene, perché le ho attraversate più volte, con gradi più o meno alti di intensità.

L'ho acquistato la scorsa primavera ripromettendomi di leggerlo in tardo autunno, inizio inverno. Così ho fatto; e il libro si è rivelato essere proprio ciò che mi aspettavo. Leggevo un libro scritto da un'altra donna, di un altro Paese, ma mi sembrava di leggere qualcosa che avrei potuto scrivere io.


Ho trovato tanto di me stessa e del mio lungo percorso attraverso inverni più o meno freddi e bui che si sono succeduti nella mia vita. Ho subito empatizzato con l'autrice, perché come lei ho vissuto in Giappone, come lei amo l'inverno e come lei ho visitato Tromsø; beh, io ci ho vissuto alcuni anni a Tromsø. Della sua vacanza nella piccola Parigi del Nord si sofferma in particolare a raccontare di come inseguiva le aurore boreali; le descrive come quasi deludenti, meno luminose, meno impressionanti di come si aspettava. Per me fu il contrario: erano enormi, luminosissime, vicinissime, frequentissime, sembravano incombere per inghiottirti. Mi chiedo se questa diversa esperienza sia dovuta al periodo in cui ha visitato la città e la regione; in realtà sono abbastanza sicura che il motivo sia quello. Ho trascorso tre inverni a Tromsø e ho visto tante, tantissime aurore boreali: mi bastava guardare fuori dalla finestra dopo cena, ogni giorno in cui non nevicava, per vederla. Il periodo in cui erano più frequenti e intense andava dalla metà-fine di ottobre fino a tutto dicembre. A gennaio iniziavano a essere già più affievolite dal ritorno imminente della luce.


La mia affinità con il libro però non è stata limitata ai luoghi visitati o all'amore per la stessa stagione; i momenti, i periodi più o meno lunghi di sofferenza, di depressione, un senso di disorientamento e di perdita di se stessi e del senso della propria vita sono stati d'animo di cui ho avuto esperienza a lungo, diverse volte, e non smettono di ripresentarsi, sono come un fenomeno naturale. Mi ci è voluto del tempo, tortuosi e dolorosi processi per riuscire a imparare da questi momenti e a imparare a uscirne fuori. Non posso dire che poi i miei "inverni" siano diventati piacevoli; sono sempre dei momenti difficili della vita, qualunque sia la loro causa o la loro natura, ma a un certo punto hanno smesso di spaventarmi quando arrivavano, perché ormai avevo acquisito gli strumenti per affrontarli.


Proprio come Katherine May, mi rivolgevo - mi rivolgo, anzi - alla natura per curare e guarire il mio animo, per avviare il processo di guarigione e per mantenere l'equilibrio di una vita sempre sull'orlo del precipizio. Per tanto tempo ho creduto di aver bisogno della maestosa natura della Norvegia o di quella di grandi montagne e boschi, come quelli delle Alpi, o della bellezza profonda del luogo al mondo in cui più mi sento a casa, la mia Kyōto, per evitare di cadere in un altro burrone. Ciò che ho imparato, invece, è a trovare gioia e cura nella natura a scala ridotta su cui si affaccia la mia finestra di città, nella natura intorno a me, e nelle occasionali capatine in montagna.


Non ho più paura dei miei inverni; so che la natura è sempre con me ovunque, perciò quando quei momenti si ripresentano riesco ad attraversarli e sopravviverci guardandoli come un'occasione per vivere una piccola ibernazione. Mi ritiro da una parte della mia vita, delle mie attività, come un animale fa in inverno, quando tutto rallenta e quasi si sopisce. E in quei momenti, proprio come in inverno, sono spinta a cercare qualcosa di confortante e bello come il volo di un'oca zamperosse, o la folta coda ondeggiante di uno scoiattolo su un ramo innevato di peccio.


Sì, sto parlando di me stessa, non del libro; è esattamente ciò che Katherine May fa nel suo libro. Certo, lei riesce a restituirci in un racconto splendidamente scritto, che ci tiene incollati alle pagine, quelle situazioni, quegli stati emotivi che tutti attraversiamo a un certo punto nelle nostre vite. Ci mostra con grazia e intensità come il buco nero e freddo in cui ci capita di cadere abbia comunque una sua luce; perfino quando lo riteniamo impossibile, è capace di gettare luce su aspetti di noi stessi o delle nostre vite. I nostri inverni portano inevitabilmente con sé un cambiamento. Dobbiamo trovare i nostri punti fermi, i nostri rituali e le nostre routine per navigare attraverso i nostri inverni ed emergere, più saggi o almeno più consapevoli. La natura, che siamo giunti a trascurare - più o meno inconsapevolmente - in questa società e questo modo di vivere moderno e urbanizzato, offre una gamma multiforme di modi, di fari da prendere come guida per trovare il nostro sentiero attraverso i boschi oscuri dei nostri inverni.


Per me sono gli uccelli, i piccoli uccelli che frequentano o vivono nel nostro giardino, la luce e gli alberi che cambiano giorno per giorno, di stagione in stagione, e il modo in cui gli uccelli adattano i loro comportamenti a questi cambiamenti. Mi insegnano come ogni inverno della vita sia un'occasione per rallentare i ritmi, per soffermarmi sulle cose, per valutarle, adattarmi alla situazione e non pensare troppo al futuro. Un'opportunità per concentrarmi su me stessa e quelle cose, fondamentali, che invece vengono solitamente trascurate per gli impegni, le scadenze, il tritacarne quotidiano.


Questo è un ottimo libro per riflettere su questi nostri periodi di inverno e per comprendere come trovare strategie e soluzioni per affrontarli, la prima e più fondamentale delle quali è semplicemente abbandonarcisi. In inverno tutto rallenta e si riduce quasi alla mera sopravvivenza; anche noi dobbiamo rallentare quando arrivano quelle stagioni di svernamento della nostra vita. Il fatto che la scrittura di Katherine May sia così confortante e bella è un grande vantaggio nel godersi questo libro a cui possiamo tornare ogni anno e, in realtà, ogni volta che abbiamo bisogno di riflettere e rimuginare sugli inverni della nostra vita.


 

The title alone was enough to make me want to buy it. Then it was suggested by people whose judgement I trust and I bought it last spring, determined to read it come late autumn.

Winter is my favourite season. And my life is studded with winterings. I knew this would be a good reading for me. And so it was. I was reading a book written by another woman, from another country, but it felt like I was reading something I could have written myself.


I immediately empathised with the account of the author, having lived in Japan myself, loving winter myself, having lived in Tromsø, where Katherine May went on a trip. It was more than places and seasons I could relate to, though. Much of the draining suffering and depression experienced, the disorientation and almost the loss of one’s self and sense of purpose. I experienced it for a long time, various times, before I figured out how to learn from and grow out of it. I cannot say I came to enjoy my winterings, but they never scared me anymore; I now had tools to cope. And much like the author, it was - it is - always nature I (would) turn to for healing, to get the process started and to keep me in balance on the edge.


For a long time I’ve believed I needed the grand nature of Norway or the Alps, or the beauty of the place where I feel home, Kyōto, in order not to fall into a new wintering pit. What I’ve learned is to find joy and cure in the small scale nature just outside my town window, all around me, with the occasional escapade to the mountains. I do not fear winterings; I know nature is always everywhere with me, so when they do happen I manage to live through them and look at them as a chance of retreating, as an animal would in winter. Just like in winter, I’d be encouraged, pushed really, to look for something as soothing and beautiful as the flight of pink-footed geese, or the waving tail of a red squirrel on a snowy fir branch.


I’m talking about myself and my wintering here; but that is what Katherine May does too. Only, she manages to beautifully put into a page-turner account the natural status all of us experience at one point in life. She shows how the dark and cold hole we fall into is not without its light; in fact, even when we think it impossible, it will shed light on many aspects of ourselves or our lives. We need just find our anchors, our rituals, our routines to navigate through it and emerge on the other side as wiser.


Nature, which we have come to neglect - more or less unconsciously - in this modern and urbanised society and way of life, offers a multifaceted array of ways to cope, of beacons to take as our leading path through the dark woods of our wintering.

For me it is the birds, the small birds in our garden, and the way the light and our trees change from day to day, season to season, and how the birds adapt their behaviour to these changes. They teach me how every wintering is a chance for me to slow down, assess things, adapt to the current situation without much thought of what will be. Focus on myself and everything that takes a back seat the rest of the time.


This is a great book to reflect on our winterings and to understand how to come up with strategies to cope; the first of which is to just go with it. In winter everything slows down and slims down to survival: we need to slow down too when that season of our life comes. The fact that Katherine May’s writing is as soothing and beautiful is a big plus in enjoying this book to which we can return to every year and, really, every time we need to mull over our own wintering.

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