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  • Immagine del redattoreMadeleines & Cahiers

Memoria e volontà di sapere e non dimenticare

Aggiornamento: 26 gen

Anche quest’anno, come quasi ogni anno, ho approfondito un aspetto dell’ORRORE che domani tutti addolorati ricorderemo.

Stavolta ho voluto vedere e capire come era il campo A-B, il più “famoso” di tutti; intendo come fosse da un punto di vista planimetrico.

Mi sono sempre concentrata solo sulla parte umana dell’Orrore, però non avevo idea di come fosse il luogo in cui si consumava. Non è superfluo, non è voyeurismo; credo sia un modo per avvicinarsi di un altro passo a provare, solo provare, a immaginare cosa sia stato. Saperlo non si può. Così ho capito a quale campo si riferiscono le varie immagini che da anni vediamo, e come erano posizionati i vari campi uno rispetto all’altro, a che distanza tra loro, a che distanza dai villaggi da cui prendevano il nome.

L’altro aspetto che ho approfondito in questo anno è stata la vicenda di un altro campo, che conoscevo di nome, ma di cui ammetto, con vergogna, di aver saputo poco altro.



Quello che ho letto, libri di testimonianze dei pochissimi sopravvissuti, è stato a tratti forse perfino più straziante di qualunque cosa abbia letto o visto e sentito in documentari su A. Si tratta del campo più a est, uno degli ultimi a essere costruiti e uno dei più spartani. Forse il più crudele. Il campo di T.


Uno dei motivi che mi hanno spinto a approfondire i campi quest’anno è il fatto che molto probabilmente non li visiterò mai. Per scelta. Perché fin da piccola ogni volta che leggevo, studiavo e riflettevo, a scuola o da sola, su questo abisso della nostra storia, insieme a tutte le umane reazioni ed emozioni che credo, e spero, ci accomunino, io somatizzavo, provavo un forte malessere fisico, soprattutto una nausea mai provata in vita mia, difficile anche da descrivere. Stavo male, psicologicamente e fisicamente, ma non smettevo di leggere e studiare; mi pareva quasi che il mio brutto ma insignificante malessere fosse poca cosa da sopportare rispetto all’orrore inflitto a quelle persone.

Mi sono sempre molto molto appassionata all’argomento, non ho mai smesso di studiarlo, e mi dicevo sempre che appena possibile sarei voluta andare a visitare almeno A. Mi pareva che fosse un nostro dovere farlo.


Oggi purtroppo non è più così; da diversi anni il mio malessere si è molto intensificato, al punto che solo i nomi mi fanno star male e quindi non credo che riuscirò mai ad andarci, perché non so quale potrebbe essere la mia reazione da un punto di vista psico-fisico trovandomi lì, visto come è già solo pensandoci e leggendo e documentandomi. Eppure continuo, ovviamente, a studiare e documentarmi. Come potrei non farlo?


Poi mai dire mai, magari tra qualche anno cambierò idea e compirò un pellegrinaggio lì e in altri campi. Non si può sapere come sarà il futuro. Oggi mi sento di dire che non posso farlo, che non lo farò. Non mi sento una persona cattiva per questo; certo, guardarli in foto e video non è la stessa cosa che calpestarne il dolorante terreno.


Mi accontento ora, mi accontento di non smettere mai di volerne sapere, di pensarci, di fare quel che posso nel mio piccolo, piccolissimo, perché non venga dimenticato e, soprattutto, perché non si ripeta.


Ora penserò a quale aspetto approfondire in questo nuovo anno della Memoria. Inizio a esaurire le idee; ma sono certa che qualcosa troverò. Ogni sassolino che viene spostato rivela un’altra infinita voragine di ORRORE. Non avevo idea di cosa fosse T. La parola inferno non rende giustizia.



Non so perché ho voluto raccontarvi una cosa che non sa nessuno, tranne i miei familiari che vedevano/vedono il mio malessere. Ma in fondo ormai uso questo social più che altro per annotare cose mie, come un blog nel suo significato originario.


 

I libri che ho letto su Treblinka sono tre.


Uno è il celebre L'inferno di Treblinka di Vassilij Grossman (approfittate degli sconti Adelphi in corso, se non lo avete letto).



Ma di quello ho trovato molto più interessante e informativo Un anno a Treblinka di Yankel Wiernik, uno dei pochissimi superstiti di quel campo dell'orrore. L'ho letto in inglese, ma vi propongo qui la traduzione italiana ad opera di Mattioli 1885, editore sempre raffinato.



Sempre in inglese ho letto Treblinka 1942-1943. Io sono l'ultimo ebreo di Chil Rajcham, anch'egli un sopravvissuto, prima di sapere che è disponibile in italiano, edito da Bompiani.



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