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  • Immagine del redattoreMadeleines & Cahiers

Vittime di un Paese in cambiamento

Aggiornamento: 3 nov 2022

Gong Ji Young, Come una sorella. Baldini Castoldi Dalai editori: 2007. 184 pp., 14,50€.


Quando vivevo ancora in Corea ho letto alcuni libri di Gong Ji Young, ma non avevo letto questo. Ora l'ho scelto come primo libro coreano tradotto in italiano che abbia mai letto. Sì, prima di adesso e prima di questo libro, non avevo letto niente di coreano in traduzione italiana. Vorrei dire che è stata un'esperienza positiva, ma non è andata così.

Non prometteva bene il fatto che il libro non fosse tradotto dall'originale, ma da una traduzione in lingua inglese. E i limiti di queste traduzioni di traduzioni sono apparsi subito nelle prime pagine, in cui è emerso che non è neppure stato fatto lo sforzo di documentarsi un pochino su ciò che si traduceva e di cui si scriveva. Esempi pratici?




"Daeji-gong"... Daeji-Dong, in realtà. Sarebbe stato sufficiente guardare come nomi simili nel testo, con il suffisso -dong, avessero appunto la forma dong e non "gong" e magari fare una veloce ricerca per accertarsi.












Ancora peggio, perché questo non può certo essere interpretato come un errore di battitura, come ce ne sono tanti, è la traduzione di questa nota:


"l'amdemun (Porta meridionale)"...? Non ci voleva tanto a fare una breve ricerca per scoprire che "Porta meridionale" (nelle mura che anticamente circondavano la capitale) si dice Namdaemun... (Nam = sud, Dae= grande, Mun = porta); d'altro canto il nome corretto si trova sia all'inizio della nota stessa, sia nel testo (sì, la traslitterazione corretta sarebbe "daemun" e non "demun", ma su questo sorvolo).









Vedere questa approssimazione non mi ha fatto avere un atteggiamento molto positivo nei confronti del volume che avevo tra le mani; e la scarsa conoscenza della lingua, della cultura e del Paese di origine dell'opera, nonché della sua storia, risuonava con forza soprattutto all'inizio del testo. Forse dopo la metà circa le cose sono un po' migliorate, perché la narrazione si concentra sul microcosmo dei personaggi, con minori rimandi precisi a luoghi, personaggi, etc.

Mi sono comunque sforzata di leggere il libro senza dare troppo peso a questa situazione. Ripeto, all'inizio non è stato facile e la mia lettura è stata davvero sofferta; dopo diverse decine di pagine sono però riuscita a concentrarmi meglio e ho riconosciuto, soprattutto nella parte finale, la penna di un'autrice che ben conosco.


"Si tratta di un romanzo dai tratti autobiografici. Attraverso gli occhi di Jjang, una precoce bambina di cinque anni, l'autrice racconta come Bongsoon, una domestica senza istruzione a servizio presso una famiglia tutt'altro che agiata, almeno all'inizio, non amata ma innocente e laboriosa come la maggior parte delle cameriere di quei tempi, vede il nuovo mondo emergente della realtà coreana. C'è angoscia, intuizione, ma anche immenso dolore in questo romanzo. La stessa autrice ha scritto a riguardo: "Ho deciso di raffigurare Bongsoon e molte altre cameriere come lei, che esistevano nelle prime fasi della crescita economica e che erano semplicemente ignorate nel frenetico sviluppo di quell'epoca. Mia sorella Bongsoon è la mia personale riflessione, come persona agiata della classe media, su tutte quelle donne che abbiamo completamente trascurato"." (Sinossi tradotta dall'edizione inglese)


La storia di Bongsoon è emblematica della complicatissima e difficile situazione in cui versava la Corea del Sud nel periodo in cui è ambientata la narrazione, ovvero gli anni Sessanta.

Curiosamente, mentre leggevo, pensavo a come un italiano medio che non sappia granché o niente di Corea, si potesse immaginare gli scenari e le situazioni descritti nell'opera, e non potevo fare a meno di sorridere, sapendo che certamente si andava a fare un'idea lontanissima dalla realtà. Seppur sia vero che dopo la fine della guerra, con la massiccia presenza soprattutto americana, la Corea del Sud ha iniziato a vedere un po' di sviluppo, in particolare a livello di infrastrutture, la verità è che la nascita di edifici e strade moderni era ancora limitatissima a poche e poco estese aree delle grandi città. Il resto del Paese e della stessa capitale erano ancora caratterizzati da condizioni di vita a dir poco arretrate. Per darvi un'idea, ho raccolto alcune immagini dal Museo storico cittadino, dall'Archivio di Stato e dai media che ritraggono la capitale, Seoul, in quegli anni.



Quando leggete delle case povere, delle baracche, di cui la piccola Jjang parla nella prima casa in cui si trasferirono dopo che suo padre rientrato dall'America trovò un prestigioso lavoro a Seoul, sono queste le baracche a cui dovete pensare. Vere e proprio baracche immerse nel fango, senza servizi igienici, senza sistema di fognature, senza pavimenti.


La completa modernizzazione dell'urbanistica si ebbe solo alla fine degli anni Ottanta, in seguito all'enorme impulso dovuto alle Olimpiadi del 1988. Fino ad allora sopravvisse non solo la dittatura che, con figure e modalità alterne, dominò il Paese dalla fine della guerra (quando parlo di guerra qui, intendo la Guerra di Corea), ma anche una sostanziale situazione di arretratezza, dalla quale con dignità e fatica i coreani lavoravano per affrancarsi.


Il tessuto sociale coreano del tempo non era dissimile da quello infrastrutturale e urbanistico: vicende come quella di Bongsoon non erano l'eccezione ma la regola. Il degrado, dovuto tanto all'ignoranza in cui per certi versi veniva tenuta una buona fetta della popolazione, quanto alla diffusa e profonda povertà, era costante origine di situazioni al limite del decoro umano. Detto con altre parole, ognuno pensava alla propria sopravvivenza e a racimolare il poco per vivere o, quando andava molto bene, quel poco in più per uscire dalla miseria assoluta, come nel caso della famiglia di Jjang e di alcuni loro parenti e conoscenti.

Bongsoon è certamente una vittima paradigmatica di questa realtà: dall'abbandono familiare ai vari abbandoni e abusi che si sono susseguiti nella sua vita, ha soltanto e sempre subito i contraccolpi di una società arretrata e povera, ma che iniziava a vedere qualche segno di emancipazione a cui tanti, tutti, letteralmente, volevano partecipare e prendere una fetta. In quest'ottica, per quanto ci venga automatico biasimare la madre di Jjang, bisognerebbe - conoscendo bene il contesto storico - capirne le motivazioni. Rispetto a certe storie realmente accadute, il trattamento che hanno riservato a Bongsoon era di gran lunga più umano e "gentile". Non la consideravano davvero una figlia, questo è ovvio; ma essersi attivati per trovare un medico che le praticasse un aborto, in quel frangente storico, è qualcosa che la maggior parte non si sarebbe preoccupato di fare se non per i propri figli, e in qualche caso neppure per loro. Non va interpretato solo come un voler salvare la propria faccia, per non essere criticati di avere in casa una ragazza madre; la donna cercava davvero anche di dare una possibilità in più di riscatto a Bongsoon. Questa, da canto suo, oltre che ignorante e misera, era anche molto sfortunata e perfino nel matrimonio è incappata in una situazione che ha del tragico.

Il triste destino che vediamo averla colpita alla fine del libro era con ogni probabilità scontato; frutto della sua storia di vita e anche, però, delle sue scelte personali, continuamente sbagliate, anche quando le veniva sconsigliato di farle. Un personaggio come lei era, purtroppo, frutto di quel degrado sociale e umano di cui abbiamo accennato sopra. Salvarla non era impossibile, ma era difficile, in un periodo in cui tutti dovevano pensare innanzitutto a salvare se stessi.

Per lo stesso motivo, giudicare il comportamento di Jjang in conclusione della storia, è un atto di giudizio sommario, che non tiene conto del vissuto personale e storico dei personaggi coinvolti. Qui non si tratta di cercare colpevoli, di accusare e condannare; l'opera vuole mostrarci le inesorabili conseguenze che povertà e, soprattutto, ignoranza hanno sull'individuo e sulla società. Allo stesso tempo, ci rende un quadro del passato della Corea e del suo presente, così diverso, frutto proprio di quel fango da cui ogni coreano ha lottato per liberarsi e riacquistare dignità. In un processo così lungo e complesso è inevitabile che ci siano delle vittime; anche alla luce del fatto che la situazione rimase quasi invariata a lungo. Bongsoon è una di queste vittime e non possiamo fare a Jjang una colpa, ora, pretendendo che sia lei, di nuovo, in un Paese ormai civilizzato, ad addossarsi la responsabilità di una donna colpita da tale destino. Jjang, come i suoi familiari, farà i conti con la propria coscienza; e li fanno, il libro si apre e chiude con loro che, nel presente, continuano comunque a pensare e interessarsi a Bongsoon. Ma l'eventuale rimorso appartiene alla loro sfera personale e privata.


Nell'indagine della coscienza umana, nella denuncia sociale e, in parte minore, nel quadro storico, riconosco la vena di Gong Ji Young, autrice da sempre molto impegnata su questi fronti.

Astratta da tutta la problematica legata all'edizione italiana, è comunque un'opera interessante; sicuramente lo è stata per me proprio per l'ambientazione storica, poiché la storia della Corea dalla guerra a oggi è oggetto continuo del mio interesse, delle mie letture e dei miei studi e ho quindi affrontato questa lettura con un bagaglio solido di strumenti per comprenderlo.

Piccola nota personale: i luoghi menzionati nel testo sono tutti luoghi che conosco bene, perché vivevo praticamente al centro dell'area interessata, quindi è stato un tuffo nostalgico; pensare a come quei quartieri erano allora (conoscevo la situazione appunto dalle mie visite ai musei e alla consultazione di documenti) e a come sono ora, come erano in questi anni in cui ci ho vissuto.


Sarebbe bello che un giorno venisse ripubblicato con una bella traduzione dall'originale.



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