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Ritratti cinesi: la maestria di Mo Yan

Inizio la mia prima book challenge, organizzata da @parliamone, con un libro che tra quelli della mia TBR era forse quello ad avere più titolo di partecipare alla categoria di settembre. L’avevo acquistato più di 3 anni fa e ho iniziato a leggerlo per 2 volte, ma ogni volta, cause di forza maggiore interrompevano sul nascere la mia lettura. Finalmente il terzo tentativo ha avuto successo e a inizio agosto ho iniziato a leggere questo volume, “L’uomo che allevava i gatti”, che mi ha tenuto compagnia nel corso delle ultime settimane.



Era l’unico libro di Mò Yán che ancora non avevo letto (tra quelli editi in Italia) e, appena iniziato, ho sentito subito l’esigenza di scrivere due parole in merito sul blog (così riattivandolo, dopo mesi di fermo). Non si trattava ovviamente di una recensione, anche perché per me la recensione è una faccenda seria, non un post su un blog; questi sono solo considerazioni personali sulle reazioni mentali ed emotive che ci suscita una lettura. La recensione è un’altra cosa. E quel mio post voleva infatti essere soltanto un’accorata esortazione a leggere questo meraviglioso scrittore. La spinta a scriverlo me l’ha data il secondo racconto della collezione (Einaudi, 2008) e che ancora oggi, a lettura di volume ultimata, rimane il mio preferito della raccolta e uno dei miei preferiti in assoluto: un capolavoro.

Le storie raccolte in questo volume sono tutte vivide, intense, a volte sconvolgenti, che ci colpiscono come un pugno allo stomaco, proprio come “Il fiume inaridito”, il mio preferito. Altri, come “Il tornado”, sono poetiche e nostalgiche storie di memoria e famiglia.

Se non avete mai letto niente di Mò Yán, rimediate e scoprirete un autore straordinario.

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